L’azienda sanitaria non risponde dell’operato del medico convenzionato perchè non possono trovare applicazione nella fattispecie in esame gli artt. 1228 e 2049 c.c., norme che pongono a carico del datore di lavoro la responsabilità per i danni arrecati dai suoi dipendenti con dolo o colpa, stante la diversa natura del rapporto.
Il medico convenzionato infatti svolge la sua attività in piena autonomia e non è vincolato dall’obbligo di rispettare gli ordini o le direttive del soggetto preponente. Il medico convenzionato è del tutto libero sia nella predisposizione dell’organizzazione che mette a disposizione del paziente sia nella scelta delle cure da praticare.
NON SI PUO’ DIRE AL PROPRIO SUBORDINATO: “LEI NON CAPISCE UN C…”
Con sentenza n.3338 del 25 luglio 2008 la Sezione IV Penale della Cassazione ha sostanzialmente confermato la sentenza della Corte d’Appello di Catania del 12 giugno 2007, affermando che commette il reato di ingiura il superiore gerarchico che apostrofi il dipendente a lui subordinato con la frase “Lei non capisce un c…” . Il rapporto di subordinazione non attenua i limiti al diritto del superiore di etero-determinare la prestazione del dipendente, anche eventualmente con la critica e la correzione, ma anzi il superiore deve far uso di una “attenta continenza espressiva” .
Il lavoratore che chieda il risarcimento del danno biologico derivante da demansionamento ha l’onere di fornire, specie ove lamenti patologie riconducibili a diverse cause (come nel caso di depressione), la prova del nesso di causalità, costituito non già da una mera possibilità o una astratta probabilità, bensì da una “probabilità qualificata” da ulteriori elementi (anche negativi ed inerenti alla mancanza di prova della preesistenza, concomitanza o sopravvenienza di altri fattori determinati).
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