La sospensione è disposta dall’art. 36 della Legge 16 dicembre n.193. I dossier preparatori chiariscono che non è sospeso l’intero sistema, ma solo l’accreditamento di nuove strutture o l’estensione della attività di quelle già accreditate ad altre branche. La norma così rinvia l’introduzione del principio di concorrenza basato sulla qualità e sui costi, che era stato introdotto con l’art.8-quinquies, comma 1 bis, del D. Lgs. n.502/1992. La dsisposizione è anche di dubbia costituzionalità, considerato che limita per due anni la libertà di iniziativa economica:
Art.36
“Sospensione dell’efficacia delle disposizioni in materia di accreditamento e di accordi contrattuali con il Servizio sanitario nazionale“
Contrasto ai fenomeni di violenza nei confronti dei sanitari
Corte Costituzionale, sentenza del 13 dicembre 2024 n.197
L’art.5. comma 15, della L. Regione Siciliana del 12 maggio 2020 n.9 interveniva in materia di prestazioni rese dalle strutture accreditate con il SSR, e consentiva a queste ultime di restituire l’anticipazione loro riconosciuta per l’anno 2020 (a titolo di “indennità di funzione” per il periodo della pandemia) mediante gli importi maturati come extrabudget, non liquidabile, nelle annualità successive.
Rispetto all’originaria durata triennale, tale meccanismo è stato esteso, dalla disposizione impugnata innanzi alla Corte Costituzionale, al settennio 2020-2026. Viene, infatti, stabilito che la restituzione in favore del SSR di quanto ricevuto dalle strutture accreditate a titolo di anticipazione avvenga “esclusivamente mediante prestazioni extra-budget non liquidabili, in riferimento ad ogni singola annualità del detto settennio, con copertura, stante la natura transattiva della presente norma, nel fondo rischi per contenzioso di ciascuna Azienda, ove le somme non siano già state erogate”.
Secondo la Corte, “l’estensione, operata dalla disposizione impugnata, del termine di restituzione dell’anticipazione maturata nel 2020 oltre i limiti temporali della legislazione d’emergenza non rinviene più giustificazione nella necessità di arginare gli effetti del fenomeno pandemico rispetto alla gestione del SSR e comporta anzi, come denuncia il ricorrente, un inappropriato utilizzo di risorse sanitarie regionali “a copertura di prestazioni sanitarie delle strutture accreditate altrimenti non riconoscibili a carico del S.S.R.” perché destinato ad operare al di fuori del sistema del budget.”
La sentenza pone un grosso problema di applicazione temporale. Ai sensi dell’art.136 Cost., la legge dichiarat illegittima non può essere applicata dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza, ma, in realtà ha effetto retroattivo, salvo i rapporti che sono già definiti od “esauriti” perchè prescritti o oggetto di sentenza passata in giudicato, o per i quali è intervenuta una decadenza o decisi con atti amministrativi definitivi. Purtroppo questa sentenza interviene prima della conclusione del 2024 e una interpretazione restrittiva potrebbe essere quella di considerare i rapporti del 2024 ancora non “esauriti” e far perdere ai soggetti accreditati la possibilità di compensare l’indennità di funzione già percepita con l’extrabudget 2024. In realtà si può anche sostenere che la legge regionale abbia previsto una “compensazione legale“. In tal caso, la compensazione opera in modo automatico, dal momento della coesistenza dei due debiti (art.1242 cod. civ.), per cui si può considerare “definita” o “esaurita” la compensazione della indennità di funzione fino all’extrabudget maturato alla data del 13 dicembre 2024.
Questo è l’unica interpretazione che può evitare un danno per le strutture accreditate e, indirettamente, agli assistiti del SSR. Infatti, le altre vie praticate, quale quella dell’indebito arricchimento delle ASP, sono state già escluse dalla giurisprudenza perchè, per principio, l’extrabudget non è autorizzabile ed utile per il servizio pubblico (es. Cassazione civile sez. III, 06/07/2020, n.13884).
“In tema di dequalificazione professionale, il giudice del merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato, può desumere l’esistenza del relativo danno – avente natura patrimoniale e il cui onere di allegazione incombe sul lavoratore – e determinarne l’entità, anche in via equitativa, con processo logico-giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all’esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto. L’autonomia organizzativa di cui può godere il responsabile di struttura complessa rispetto all’Azienda sanitaria, infatti, trova comunque un evidente limite nel rispetto dell’obbligo generale di piena osservanza delle regole che disciplinano il rapporto di lavoro e quindi nell’obbligo di assegnazione del lavoratore stesso alle mansioni di sua competenza, evitando che la violazione di quest’ultimo obbligo venga a ledere il diritto del lavoratore a non vedere compromessa la propria qualificazione professionale.
Dell’osservanza di tale obbligazione l’Azienda sanitaria viene a rispondere quale controparte contrattuale del lavoratore, senza poter conseguire esonero della propria responsabilità – che costituisce responsabilità da inadempimento – dalla condotta dei preposti alla struttura complessa, sul cui operato l’Azienda stessa è comunque tenuta a vigilare, assumendo le necessarie iniziative quando l’esercizio del potere organizzativo del responsabile si traduca nella illegittima lesione dei diritti dei lavoratori” (caso di demansionamento operato da un Direttore di Struttura Complessa in danno di un dirigente medico della struttura; l’azienda sanitaria si difendeva dicendo di “non sapere“).
L’art.12, comma 6, della L. 19 febbraio 2004 n.40 è adesso il seguente:
“6. Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro. Se i fatti di cui al periodo precedente, con riferimento alla surrogazione di maternità, sono commessi all’estero, il
cittadino italiano è punito secondo la legge italiana “.
Non si tratta comunue di “reato universale” perchè lo straniero resta non punibile.
Il medico cosiddetto “strutturato” non e’ affatto obbligato ad assicurarsi per i danni eventualmente arrecati nell’esercizio della professione, essendo i relativi rischi coperti dall’assicurazione, o analoga misura, imposta alla struttura sanitaria per cui il medico opera (art. 10, comma 1, terzo periodo, in relazione all’art. 7, comma 3, della legge n. 24 del 2017); che l’obbligo assicurativo posto a carico dei medici “strutturati” dall’art. 10, comma 3, della legge n. 24 del 2017, ha invece un diverso oggetto: tali professionisti devono, infatti, stipulare una polizza di assicurazione per colpa grave che garantisca l’efficacia della successiva azione di rivalsa esperita dalla struttura sanitaria che abbia (gia’) soddisfatto le pretese risarcitorie dei terzi, secondo quanto previsto dall’art. 9 della medesima legge (sentenza n. 182 del 2023). L’art. 12 della legge n. 24 del 2017 consente, si’, al danneggiato di agire direttamente nei confronti dell’assicuratore, ma cio’ solo quando si tratti dell’impresa che assicura la struttura sanitaria o il medico libero professionista: non, invece, nei confronti dell’assicuratore del medico “strutturato”, per l’ovvia ragione che la polizza che quest’ultimo e’ obbligato a stipulare copre debiti del medico legati ad azioni, quali quelle di rivalsa, «che si collocano “a valle” dell’esperimento (vittorioso) dell’azione risarcitoria da parte del danneggiato» (ancora, sentenza n. 182 del 2023).
L’art. 9-ter del decreto legge n. 78 del 2015 stabilisce un tetto alla spesa regionale per i dispositivi medici. Se la regione supera il tetto, le imprese che forniscono i dispositivi ai Servizi sanitari regionali sono tenute a contribuire parzialmente al ripiano dello sforamento. Per gli anni dal 2015 al 2018 è espressamente prevista la procedura di determinazione dell’ammontare del ripiano a carico delle singole imprese (comma 9-bis).
L’art. 8 del decreto legge n. 34 del 2023 ha istituito un fondo statale da assegnare pro-quota alle regioni che nel menzionato periodo abbiano superato il tetto di spesa. Esse hanno inoltre consentito alle imprese fornitrici dei dispositivi di versare solo il 48 per cento della rispettiva quota di ripiano, a condizione che rinunciassero a contestare in giudizio i provvedimenti relativi all’obbligo di pagamento.
La Corte si è occupata dapprima delle disposizioni del 2023 e, con sentenza n. 139, le ha dichiarate incostituzionali nella parte in cui condizionavano la riduzione dell’onere a carico delle imprese alla rinuncia, da parte delle stesse, al contenzioso.
La conseguenza è che a tutte le imprese fornitrici è ora riconosciuta la riduzione dei rispettivi pagamenti al 48 per cento.
Con la successiva sentenza n. 140 la Corte, su rimessione del TAR Lazio, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9-ter del decreto legge n. 78 del 2015, quanto al periodo 2015-2018.
La Corte ha precisato che, in relazione a tale periodo, il legislatore ha dettato una disciplina apposita per il ripiano dello sforamento dei tetti di spesa, e le regioni, con propri provvedimenti, hanno richiesto alle imprese le somme da esse dovute.
La sentenza ha rilevato che il payback presenta di per sé diverse criticità, ma non risulta irragionevole in riferimento all’art. 41 Cost., quanto al periodo 2015-2018. Esso, infatti, pone a carico delle imprese per tale arco temporale un contributo solidaristico, correlabile a ragioni di utilità sociale, al fine di assicurare la dotazione di dispositivi medici necessaria alla tutela della salute in una situazione economico finanziaria di grave difficoltà.
Il meccanismo non risulta neppure sproporzionato, alla luce della significativa riduzione al 48 per cento dell’importo originariamente posto a carico delle imprese, riduzione ora riconosciuta incondizionatamente a tutte le aziende in virtù della citata sentenza n. 139.
Inoltre, la Corte ha osservato che la disposizione censurata non contrasta con la riserva di legge prevista dall’art. 23 Cost. per l’imposizione di prestazioni patrimoniali.
Infine, la sentenza 140 ha precisato che la disposizione censurata non ha natura retroattiva, in quanto il comma 9-bis dell’art. 9-ter, introdotto nel 2022, si è limitato a rendere operativo l’obbligo di ripiano a carico delle imprese fornitrici, senza influire, in modo costituzionalmente insostenibile, sull’affidamento che le parti
private riponevano nel mantenimento del prezzo di vendita dei dispositivi medici.
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